When They See Us – La storia dei “Central Park Five” per riflettere su George Floyd

19 aprile 1989, Trisha Meili, una donna di 28 anni bianca, viene stuprata e lasciata quasi morta a New York, in Central Park. In seguito ai fatti furono arrestati quattro giovani quattordicenni: Antron McCray, Kevin Richardson, Yusef Salaam e Raymond Santana junior (i primi tre afroamericani, l’ultimo di origine ispanica) e un quinto giovane, il sedicenne Korey Wise, anche lui afroamericano.

I cinque adolescenti neri, noti come i cinque di Central Park, nonostante l’assenza di prove nel 1990 furono condannati a scontare tra i 6 e i 15 anni di carcere per uno stupro mai commesso. Furono giudicati colpevoli di aggressione, rapina, rivolta, stupro e abuso sessuale dalle giurie di due processi separati.

25 maggio 2020, George Perry Floyd, un uomo afroamericano di 46 anni, padre di due figli, viene aggredito da un gruppo di poliziotti a Minneapolis. Uno di questi, Derek Michael Chauvin, lo immbilizza sul marciapiedie, premendo con il ginocchio sul suo collo per ben 8 minuti e 46 secondi.

Poco dopo, Floyd, condotto all’Hennepin County Medical Center, viene dichiarato morto. L’1 giugno, 6 giorni dopo, viene determinata come causa di morte l’asfissia provocata dalla manovra di Chauvin, che ha ostruito il flusso sanguigno verso il cervello.


Quanto è cambiato effettivamente?


Sono trascorsi più di 30 anni dai tragici eventi di Central park e oggi ci ritroviamo a sentire una notizia come questa.

Forse non è cambiato poi così tanto. Forse ci siamo raccontati solo una bella favola sull’uguaglianza.

Quante vite nere devono essere prese prima che qualcosa sia fatto? Onoriamo le vite perse e impegniamoci a lottare per la giustizia.” #BlackLivesMatter

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Queste le parole del movimento attivista Black Lives Matter.  Impegnato nella lotta contro il razzismo sin dal 2013. La morte del 47enne Floyd ha segnato l’inizio di una chiamata all’azione globale, che ha già raggiunto e avviato cambiamenti concreti.

Netflix si è schierato in prima linea nella campagna antirazzista sostenendo il movimento Black Lives Matter.

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Netflix decide di non rimanere in disparte e denuncia a gran voce il razzismo. “Rimanere in silenzio significa essere complici”.

Ha dedicato un’intera categoria di film al genere Black Lives Matter.

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When They See Us – La vera storia dei “Central Park Five”

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“When they see us”, miniserie magistralmente diretta da Ava DuVernay riporta fedelmente gli eventi dei “5 di Central Park”. Non c’è momento migliore per vederla. RICORDARE IL PASSATO PER COSTRUIRE IL FUTURO. E dati gli eventi recenti direi RI-COSTRUIRE IL FUTURO.

Questa è la storia di 5 vite condannate per un reato che non avevano commesso.

La storia di un’intera città che si scagliò contro dei ragazzini, definiti all’epoca degli animali.

I protagonisti della vicenda, che non ci si aspetta, sono più che mai recenti. Uno dei più influenti accusatori dei 5 fu proprio l’attuale presidente degli Stati Uniti, Donald Trump.

All’epoca era un ricco imprenditore di Manhattan in cerca di ulteriore notorietà, e si spese molto per far condannare i cinque ragazzi.

Il 1° maggio 1989, quando i “Central Park Five” non erano stati neanche formalmente accusati, Trump comprò per 85 mila dollari una pagina nei quattro quotidiani più diffusi della città per chiedere che per i cinque fosse ripristinata la pena di morte

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Gli annunci a tutta pagina contribuirono a montare ancora di più la paura e l’indignazione, acuendo le tensioni sociali ed etniche del paese.

Oggi, a distanza di 30 anni e senza citare nessuna prova, Trump continua ad insistere sulla colpevolezza dei cinque ragazzi. La gravità di queste affermazioni dal presidente ci conferma quanto il problema sia REALE.

Nel 2002, Matias Reyes, uno stupratore seriale già in carcere confessò di aver violentato da solo Trisha Meili: la prova del DNA confermò la sua confessione e le condanne ai cinque ragazzi furono annullate.

Successivamente al rilascio degli accusati, in molti porsero le scuse per aver creduto e condannato quei cinque ragazzi. Nonostante il senso di colpa, nessuno ha però potuto restituire la giovinezza ormai perduta ad Antron, Kevin, Yusef, Raymond e Kory.

When they see us“, “Quando loro ci guardano“, indica il pregiudizio. L’incapacità di essere obiettivi e giusti verso ciò che è diverso da noi, verso ciò che non comprendiamo fino in fondo.

È la testimonianza di una grave ingiustizia, un caso di una probabile lunga serie di errori giudiziari, viziati da una sola grave mancanza, la disparità razziale.

When They See Us – La vera storia dei “Central Park Five”

«Rinchiudere quei ragazzi per uno stupro di gruppo che non avevano commesso ma in cui credeva gran parte della società fu come piantare una bomba nelle loro vite che non ha mai smesso di esplodere. Questa parte della storia è raccontata senza esitazioni in When They See Us, e illuminerà anche le persone che hanno seguito la vicenda in prima persona».

Jim Dwyer, giornalista del New York Times che si occupò a lungo del caso

Oltre a concentrarsi sulle vite dei “Central Park Five” When They See Us si concentra sul loro difficoltoso, se non impossibile, reinserimento nella società dopo il carcere.

In un’intervista del New York Times, i 5 di central park insieme ai cinque giovani attori che li hanno interpretati, hanno raccontato di soffrire ancora di problemi psicologici e di disturbi post traumatici da stress.

When They See Us – La storia dei “Central Park Five” per riflettere su George Floyd
In senso orario da in alto a sinistra, Antron McCray, Kevin Richardson, Raymond Santana, Yusef Salaam, Korey Wise, Marquis Rodriguez, Jharrel Jerome, Ethan Herisse, Asante Blackk e Caleel Harris. Credit by The New York Times

Kevin Richardson, afferma però di non voler invecchiare vivendo nella rabbia e nel rancore. “Sono arrabbiato, sì,  ma ho voluto incanalare quell’energia e trasformarla in qualcosa di positivo in modo da poter costruire le fondamenta per la nostra generazione futura.”

Asante Blackk, il giovane attore che ha interpretato Richardson dice: 

Questi cinque ragazzi sono umani. Non sono il “branco di lupi”, i mostri che sono stati rappresentati dai media nel 1989. Se vedete un qualcosa e questa confermasse i vostri pregiudizi, potreste dover fare un passo indietro prima di saltare ad una conclusione, perché c’è un’enorme possibilità che non sia vero..

Asante Blackk

RICHARDSON conclude dicendo

Ecco perché adoro il titolo “When They See Us”. Perchè quando ci vedono come persone nere o marroni, siamo già giudicati dal colore della nostra pelle. Quindi, come ha detto Asante, fate un passo indietro e pensate prima di giudicare. Voglio che tutti sappiano che siamo sopravvissuti a questo e non vogliamo vedere un altro Central Park Five. Non vogliamo vedere un altro Scottsboro Boys. Non vogliamo vedere un altro Emmett Till.

Questi 5 ragazzi sono da ammirare per come sono riusciti alla fine a ricominciare, ma gli eventi recenti mostrano un amara verità.

Siamo ben lontani dall’equità che ci siamo raccontati, lontani da un mondo che garantisca eguali opportunità e diritti.

È UN EVIDENZA, la strada è ancora lunga.

Non rimaniamo in silenzio. Rimanere in silenzio significa essere complici. Combattiamo affinché la parità esista. Siamo tutti responsabili.

La morte di George Floyd, nonostante la sua tragicità ha dato il via ad alcune delle proteste antirazziste più impegnate, appassionate e determinate della recente memoria collettiva.

Dal Minnesota a New York, e da Amsterdam a Londra, nelle ultime settimane migliaia di manifestanti sono scesi in strada e hanno chiesto ai governi di porre fine attivamente alla brutalità della polizia e al razzismo istituzionale.

Noi ci siamo, e tu?

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